giovedì 15 dicembre 2011

In cammino verso la luce.....di Giovanna

05 febbraio 2009

Giovanna ha cercato di mettere per iscritto quello che per lei è la “spiritualità del cammino", verso Santiago de Compostela. Credo che sia una analisi bella e toccante.

Pellegrino chi ti chiama?
Che forza misteriosa ti attrae?
Così recita una poesia sul cammino di Santiago.

Nel mio caso la scintilla è stata un ritiro di meditazione cristiana del 2004, nel quale padre Lawrence sottolineò la differenza fra  desideri e  bisogni. Tornando capii che avevo bisogno:di spiritualità e così chiesi a Guido, che già lo aveva fatto nel 2001, di tornare con me sul cammino.
Una volta presa la decisione si è già partiti interiormente.
Idealmente nel nostro zaino  nostro figlio Gianluca  e nostra nipote Cristina, clarissa di Cortona, con il suo “cestino da viaggio”, un insieme di letture che facevamo ogni mattina in comunione spirituale a distanza.
Partire vuol dire lasciare tutte le sicurezze per entrare nella precarietà senza sapere quello che troverai lungo il percorso.
Lasciare tutto il superfluo che ingombra la nostra vita per ritrovare l’essenzialità: tutto quello che ti serve sta nel tuo zaino e lo zaino deve essere leggero.
Partire senza misurare il tempo e dopo appena tre o quattro giorni di camino, subentra un senso di calma e di pace. Tutto quello che occupava le mie giornate sembra già lontanissimo. La sola cosa da fare è andare, camminare.

Il poeta spagnolo Machado ha scritto una poesia sul cammino che dice:
Caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Il cammino si scopre facendolo. E’ una esperienza di vita, personale, difficile da raccontare.
Non so perché, ma sul cammino sono sempre stata contenta. Ci sono andata contenta e ne sono ritornata contenta, felice di tutto.
Quello che fa del cammino qualcosa di diverso dall’andar per sentieri è la meta e la sensazione che a Santiago c’è qualcuno ad aspettarci. La meta non è San Giacomo ma Cristo dice il canonico della Cattedrale ed è vero. Partire per Madrid non è la stessa cosa che partire per Santiago. La destinazione dà senso alla marcia. Se la vita non porta da nessuna parte non siamo dei pellegrini, siamo dei vagabondi.
La magia del cammino sta nell’entusiasmo con cui ogni mattina si riparte qualunque sia il tempo, la fatica, le vesciche e qualunque sia la lingua ci si saluta sempre con “buen camino”.
La magia sta nel sentire che siamo parte di un flusso secolare. Si mettono i propri passi nei passi dei milioni che sono passati prima di noi su  una strada millenaria come dice il Priore di Conques, in Francia, sul cammino da Le Puy.
In un alternarsi di dubbi e certezze, si devono cercare e saper  scorgere i segni, metafora della vita,  per trovare la via  da percorrere e il senso di quello che stiamo facendo.
Non ci si volta indietro. Chi è costretto a rinunciare non ha pace fin ché non torna a completare il cammino.
E’ un movimento esteriore e interiore  che esige il  rispetto dei propri ritmi e del proprio corpo.
In un mondo che si muove velocemente c’è una sorta di profezia in questo muoversi al ritmo del nostro corpo senza fretta alla ricerca di un’armonia perduta.  Ci si lascia fare dal cammino, lasciandosi insegnare dal nostro corpo, lasciandosi condurre dallo spirito.
Si trova la pace nella natura, nel ritmo naturale, nel ridurre a poche cose le necessità giornaliere.
Il corpo impegnato per ore nella ripetizione dei passi lascia lo spirito libero di vagabondare, e nella mente scorrono immagini, parole,  senza un ordine preciso come se il cervello ritrovasse una libertà di funzionamento.
Risuonano nella mente tanti passi del Vangelo che parlano di strada “Seguitemi”, “Io sono la via la verità la vita”  e infine la domanda“chi dite che io sia?”
In un mondo di rumori e frastuono qui  spesso è il silenzio l’unico rumore che ti circonda.
Si fa esperienza di quello che io chiamo un eremo itinerante.
Specialmente quando sei nella meseta o per chilometri e chilometri in boschi di quercia, come sulla Via della Plata, quest’anno, si cerca di fare vuoto nella mente per fare spazio a Dio, come nella meditazione, ma mille domande affiorano alla mente a cui non trovi risposte e in quel momento Dio ti  appare davvero un Dio nascosto.
Tuttavia di fronte a un’ improvvisa esplosione di colori di un prato o di una distesa di grano mossa dal vento resti incantato  a contemplare  le bellezze del creato e senti allora che Dio si rivela.
E così ci si ritrova senza accorgersi a lodare e a rendere grazie.
Spesso il mantra Maranatha mi ha accompagnato nel corso della giornata scandendo il ritmo dei miei passi, sotto il sole, sotto la pioggia, contro il vento. Se ti lasci andare, anche camminare sotto l’acqua  è bellissimo e, mentre ripiegata su te stessa, costretta al silenzio, ti nascondi sotto il poncho e abbassi la testa per ripararti dalla pioggia senti che puoi resistere e che puoi farcela . In quel momento senti che Dio sta camminando con te .
Anche il fango o un fiume in piena ti mettono alla prova, ti costringono a fare attenzione a superare difficoltà impreviste, che in altre circostanze ti avrebbero fatto arrendere.
Incappare ogni giorno nelle proprie debolezze, nei propri limiti ti fa diventare più umile e ti ridimensiona ti rende consapevole della tua nullità di fronte all’universo, ma  ripartire e avanzare comunque ti dà la consapevolezza che dentro di te c’è una forza a cui puoi attingere nei momenti di sconforto e di solitudine.
Sul cammino avvengono incontri sorprendenti nel momento in cui meno te li aspetti ed è incredibile la facilità con cui dopo appena poche ore di cammino si possa instaurare un rapporto di amicizia con persone mai viste prima, persone provenienti da tutte le parti del mondo.
Quanta gente, quanta diversità. Ognuno porta con sé il segreto del suo cammino e del suo rapporto col sacro e col divino, tutti diversamente credenti, tutti alla ricerca di qualcosa. Ma alla fine io credo che tutti si incontrino con Dio o perlomeno scoprano il sacro.
Dagli incontri si impara la gratuità perché bisogna imparare ad apprezzarli senza attaccarsi
apprezzare il dono dell’incontro in quanto tale. Ancora una volta ci si alleggerisce dalla nostra volontà di possedere.
Questi momenti sono dati per la gioia Volerli trattenere è snaturarli ma i mille volti restano impressi nella nostra memoria tessendo un filo che ci lega ad ogni angolo del mondo.
C’è una regola non scritta per cui la sera si può cenare insieme ma la mattina ognuno riparte senza pesare sull’altro né avere aspettative di compagnia.
L’essere sul cammino da soli facilita gli incontri. Sono stata sempre colpita dalle tante donne sole che ho incontrato. Le considero molto coraggiose  perché affrontano la solitudine, le paure  e  tutto il positivo e il negativo che può succedere. Devono sapersela cavare da sole, cosa che per me è ancora uno scoglio da superare. Finora ho sempre fatto il cammino con Guido e tutto è sempre stato molto semplice.
Sul cammino si incontrano quelli che io chiamo gli angeli custodi e noi stessi possiamo diventare gli angeli custodi di qualcun altro con una parola di incoraggiamento, un’indicazione, un sorriso, un momento di ascolto, condividendo emozioni con chi è solo.
Si incontrano comunità di preghiera che ti accolgono: Lascabanes, in Francia, dove il prete pellegrino fa la lavanda dei piedi ai pellegrini che arrivano e li ricorda nelle sue preghiere per tutta la settimana successiva, Rabanal del Camino o Triacastela con la preghiera in tante lingue diverse.
Si incontrano ermite solitarie dove ci possiamo fermare nel silenzio pieno della presenza di Dio e pregare per i nostri cari, per la pace, per il mondo.

Questo tipo di vita e di rapporti ha qualcosa della semplicità monastica, crea comunità.
Non si è pellegrini da soli, lo si è con gli altri, in mezzo agli altri. Non interessa che cosa fa uno nella vita di tutti i giorni, tutti i pellegrini sono uguali non c’è ricco, né povero, né debole, né forte. Non è che le differenze sociali siano annullate, solo che chi ha una giacca in gorotex non si sente superiore a chi ha abiti semplici.
Alla sera è bello ritrovarsi nei rifugi. Se qualche volta dormiamo altrove si ha la spiacevole sensazione di essere usciti dal coro, di essere falsi pellegrini.
Si impara a vivere insieme. Si condividono cose materiali in modo spontaneo e naturale,  acqua, cibo, medicine, cure, anche fastidi, come il  russare, lo stropiccio dei sacchetti di plastica alle 5 di mattina…
Si impara l’umiltà, aver bisogno degli altri, una parola, un consiglio, un’indicazione, un sorriso.
Si fa tutto in leggerezza nel modo più semplice del mondo.
Si crea una comunicazione a livello profondo, spesso non si parla di banalità.
Parlando si accoglie e si è accolti.  Una parola può essere detta, condivisa tra pellegrini perché si condivide la stessa vita.

Negli ultimi giorni, più ci si avvicina a Santiago, meno si ha voglia di arrivare, non si vuole che tutto questo finisca. Non si ha voglia di   lasciare questa atmosfera, questo modo di vivere.
Il giorno dell’ arrivo si provano sentimenti diversi, gioia, sorpresa, tristezza, straniamento, nostalgia.
Gioia perché si è raggiunta la meta. Sorpresa di essere lì, tanto che molti restano a lungo sdraiati nella piazza a guardare la cattedrale increduli.
Sorpresa di essere riusciti in quello che non credevi e in una maniera del tutto naturale. A casa spesso chiedono come è possibile camminare così tanto. Eppure è possibile e senza essere eroi.
Si prova tristezza perché il sogno è terminato, la semplicità si sta per perdere, si deve ritornare alla vita di tutti i giorni, perché gli amici conosciuti per strada se ne vanno e quasi sicuramente non si rivedranno più. Il cammino è duro per questo  non tanto per il camminare quanto per il distacco.
Avvertiamo un senso di straniamento. Non siamo ancora pronti al ritmo della città, perciò si avverte ancor di più il bisogno di ritrovare quella calma e quel silenzio che ci hanno accompagnato per tanti giorni. Così ci si rifugia in cattedrale dove la pace ci avvolge  in un tutt’uno di cuore mente e corpo  dove rendere grazie a Dio sale spontaneamente alle labbra.
Tutti credenti  o no entrano in cattedrale, tutti escono con l’anima in pace e il cuore in festa.
Fuori sulla piazza mille foto ricordo e un continuo  susseguirsi di richiami di esplosioni di gioia per il piacere e la sorpresa di riabbracciare qualcuno che si  credeva perso per sempre.. Abbracci di gioia per chi arriva, abbracci velati di tristezza per chi si saluta per sempre. Nel giro di due giorni  si cerca inutilmente qualche viso conosciuto e si capisce che è arrivato il momento di partire, per non essere sopraffatti dalla nostalgia.
Il paradosso è che il Cammino di Santiago comincia al ritorno.
Andata e ritorno sono due viaggi differenti,al ritorno  c’è un cambiamento di prospettiva.
Si ritorna con il cuore e lo spirito leggeri. Si è più essenziali, più tolleranti, più in pace con noi stessi.
Si torna diversi perché, parafrasando Etty Hillesum, abbiamo fatto esperienza  che si può essere capaci di vivere anche senza niente perché c’è sempre un pezzetto di cielo da poter guardare.
Abbiamo scoperto, con le parole di frère Roger, che
"Dio illumina le nostre anime di una luce inattesa
e scopriamo che in noi al di là di una parte di oscurità
c’è soprattutto il mistero della Sua presenza".

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